Istruita, Ignorante, e Femminista

In un’epoca in cui l’assalto delle forze del kufr all’Islam prende non solo la strada dell’aggressione militare, ma anche – e forse soprattutto – quella ideologica, nei tentativi di modifica del messaggio di Allah per adattarlo agli interessi del profitto, dell’oppressione, dell’ignoranza, una delle strade introdotte tra certi Musulmani con risultati più deleteri è quella del “femminismo”, i cui proponenti dall’”interno” definiscono “femminismo islamico”, per cercare di dare una venatura “islamica” a quello che non – invece – altro che il risultato dell’ennesimo tentativo di “legittimare” l’Islam in base ai canoni del kufr e dei suoi miti (democrazia, diritti umani, capitalismo, pacifismo, etc.), con l’unico risultato di piegare l’Islam ad ideologie ed interessi ad esso estranei ed opposti.

L’ennesimo articolo a segno di Khalid Baig.

Istruita, Ignorante e Femminista

Di: Khalid Baig
Da: http://www.albalagh.net/book_review/yamani.shtml
Traduzione a cura di: `Umar Andrea Lazzaro.

Recensione libraria a cura di Khalid Baig all’opera:
Titolo: “Femminismo ed Islam, Prospettive Giuridiche e Letterarie” (Feminism and Islam, Legal and Literary Perspectives)
A cura di: Mai Yamani
Pubblicato da: School of Oriental and African Studies, University of London.
Anni: 1996
385 pagine

Ricordate quando l’Unione Sovietica era una Superpotenza, e leggere Lenin e Marx (o almeno fingere di averli letti) era un segno di conquista intellettuale? In quei giorni “gloriosi”, pretese che anche l’Islam esponesse una sua propria versione di Socialismo, e che il Socialismo Islamico fosse la necessità dell’epoca, dominavano il panorama intellettuale del mondo Musulmano. Via via che l’Unione Sovietica diventò una “Sovietic Onion” [“cipolla sovietica”], scomparendo strato dopo strato, anche gli apologeti e le loro argomentazioni finirono nella pattumiera della storia.

Però, i veri apologeti non muoiono; semplicemente, ricompaiono in altre vesti, ogni volta sottomettendosi a qualunque cosa sembri essere l’ideologia dominante dell’epoca. Inizia il Femminismo: “Donne di tutto il mondo, unitevi”. Ed ecco già comparire un sacco di “esperti” sul Femminismo Islamico. Quindici di loro hanno contribuito con dei capitoli a questo libro, che è un tentativo intellettuale di servire la causa di questo nuovo stravagante -ismo, differente dagli -ismi precedenti solo nella faccia tosta dei suoi propositori. Notate infatti che il libro è intitolato “Femminismo ed Islam” e non “Islam e Femminismo”: per questi “esperti”, il femminismo (qualunque cosa significhi) è la Verità evidente ed assoluta; l’Islam, invece, sarebbe una religione “creata dall’uomo”, da esaminarsi e riformarsi in base ai dettati della prima! Dopotutto, i grandi giuristi islamici erano tutti uomini, “motivati dalla sete di potere”, che, agendo da “oppressori privilegiati”, avrebbero dato al loro genere più e più privilegi, usurpando i diritti delle donne [p. 331]. A scrivere il tafsir (esegesi) del Qur’an furono uomini, come persone come Bukhari e Muslim che raccolsero citazioni “che si presume essere state pronunciate dal Profeta [Sallallahu `alayhi wa sallam]”. [p. 35].

Le cose si fanno molto più sinistre. Gli antichi sapienti Islamici, muhaddithin, mufassirin, e pure gli storici, non solo sarebbero stati uomini decisi ad usurpare i diritti delle donne: essi sarebbero pure dei bugiardi che distorcevano la storia per mettere in cattiva luce qualunque cosa avesse preceduto l’Islam [p. 77]. E’ a causa delle loro distorsioni che la gente generalmente crede che l’Islam abbia significativamente migliorato le vite delle donne. Nonostante l’elaborato “occultamento”, una dedita ricercatrice come Ghada Karmi, Senior Research Fellow al Centro per gli studi Islamici e sul Medio Oriente dell’Università di Durham, per mezzo della sua brillante intelligenza ha scoperto che in realtà le donne stavano meglio prima dell’Islam! L’esistenza di dee come al-Uzza, Manat ed al-Lat sarebbe una prova che “la società era originariamente organizzata su una base matriarcale e/o matrilineare”. Inoltre, nella società della Jahiliyyah una donna poteva avere molti mariti così come l’uomo poteva avere molte mogli, producendo in tal modo un “equilibrio” che sarebbe stato distrutto dall’Islam! Inoltre, quando partoriva un figlio, la donna chiamava tutti i “mariti” e decideva chi riteneva ne fosse il padre, “e la sua parola era legge”. Qual posizione di potere!

Rispondere ad uno qualunque degli argomenti precedenti significa dare dignità a del puro nonsenso, ma è importante notare che in questo libro “accademico”, ella ha tanta pretesa alla corona dell'”Ijtihad” quanto l’esperta successiva. Il suo ijtihad ritiene che dal Qur’an vadano eliminati quei versetti che si occupano della legislazione, essendo la “parte mutevole”, e dovremmo lasciare gli altri versetti che si occupano del contenuto spirituale, poiché quella è la parte “invariabile”.

Temendo che tale “audace” proposta possa non venire accettata, altre “esperte” offrono nuove interpretazioni dei versetti del Qur’an, con lo stesso obiettivo. Un suggerimento che si trova ripetutamente è che l’Islam non obbligherebbe le donne Musulmane ad osservare l’hijab, o velo. Non vi è nulla di nuovo nella tesi che l’obbligo del velo si applichi solo alle mogli del Profeta, Sallallahu `alayhi wa sallam, ma è interessante ed istruttivo osservare la loro trattazione del soggetto. La loro tesi è basata su questo versetto “O mogli del Profeta, non siete simili ad alcuna delle altre donne. Se volete comportarvi devotamente, non siate accondiscendenti nel vostro eloquio, ché non vi desideri chi ha una malattia nel cuore. Parlate invece in modo conveniente. Rimanete con dignità nelle vostre case e non mostratevi come era costume ai tempi dell’ignoranza. Eseguite l’orazione, pagate la decima ed obbedite ad Allah e al Suo Inviato“. [Sacro Qur’an, Surah al-Ahzab, 33:32-33]. L’interpretazione fornita da tutti i sapienti è stata che tali comandi si applichino a tutte le donne credenti e che il riferimento alle mogli del Profeta (Allah sia soddisfatto di loro) ha il solo scopo di enfatizzare la loro maggiore responsabilità, essendo loro il modello di riferimento per tutte le altre credenti. Ma le femministe non possono resistere alla tentazione di un’interpretazione strettamente letterale come una via d’uscita per evitare i primi due ordini. Il problema è che qui vengono dati cinque comandi nello stesso tono, ed è ovvio che gli ultimi tre si applichino a tutte le donne credenti. Se c’è una base per limitare selettivamente soltanto i primi due alle mogli del Profeta (Allah sia soddisfatto di loro), nessuno l’ha mostrata. Infatti, il ragionamento dato qualche versetto dopo demolisce completamente la tesi femminista: “Quando chiedete ad esse un qualche oggetto, chiedetelo da dietro una cortina: ciò è più puro per i vostri cuori e per i loro“. [Sacro Qur’an, Surah al-Ahzab, 33:53]. Dire che il velo fosse necessario solo per le mogli del Profeta, Sallallahu ‘alayhi wa sallam, significa affermare o che il resto delle donne credenti avessero cuori più puri che non necessitavano della protezione del velo, o che per loro la purezza del cuore non sia necessaria!

Non a conoscenza di tale problema, ma felice della sia interpretazione letterale, A. L. Marsot ammette il vero motivo del suo opporsi al velo alla fine del suo articolo: il velo per lei implica un ruolo inferiore per le donne [p 46]. Lasciamo perdere se tale osservazione sia giustificata o meno, ma è impossibile ignorare i sentimenti qui espressi: “Il velo è un segno di inferiorità, allora lasciamolo alle Madri dei Credenti!”.

L’articolo di Mona Siddiqui, Lecturer in Studi islamici, alla Faculty of Divinity dell’Università di Glasgow, esamina la legge della Kafa’a (compatibilità) nella scuola Hanafita per dimostrare le “tensioni” tra diritti legali e norme sociali. Il principio basilare sottostante la Kafa’a è che una donna Musulmana non dovrebbe sposare un uomo Musulmano inferiore al di lei status e a quello della sua famiglia; tale matrimonio sarebbe permesso soltanto se non solo la donna ma anche il suo guardiano lo approva. La legge impedisce ad una donna di contrarre un matrimonio incompatibile e quindi potenzialmente disastroso, e definisce la compatibilità in preciso dettaglio. Perciò vi sono due possibili situazioni: un matrimonio all’interno della Kafa’a ed uno al di fuori di essa. Nel primo caso la donna può legalmente dare sé stessa in matrimonio, per proprio conto, ma è comunque desiderabile che lei abbia un wali o guardiano a sposarla in modo da non essere associata alla mancanza di pudore. Nel secondo, il matrimonio non è valido se il wali non lo approva. Mona Siddiqui trova problemi in entrambi: “Lo stigma di spudoratezza che è associato ad una donna che agisca all’interno dei parametri legali riflette una società riluttante ad eguagliare l’osservanza di un diritto legale al comportamento approvato”. La tensione che vede è risultato di un fallimento a comprendere la relazione complementare tra legge ed insegnamenti morali. Ad esempio, il divorzio è legalmente permesso, ma è la più ripugnante tra tutte le cose permesse. Vi è forse un conflitto? Assolutamente no. Il divorzio è legalmente permesso perché la valvola di sicurezza dev’esserci per i rari casi in cui possa essercene bisogno. Allo stesso tempo, gli insegnamenti morali e le norme sociali hanno lo scopo di ridurre il più possibile la necessità di tale valvola. Dovremmo lamentare che l’esercizio di un diritto legale venga compromesso dalle pressioni sociali? Similmente, la modestia e l’haya’ sono tra le più importanti qualità di una donna credente e chiunque non sia totalmente privo di queste qualità può comprendere il bisogno del wali per sposarla. Perché ci sarebbe un conflitto tra tale norma ed il diritto di accettare o rifiutare una proposta di matrimonio?

Ella nota pure che “nei testi di legge Islamica non figurano le astrazioni dell’amore romantico e quindi, nei modelli socio-strutturali discussi, alla potenziale importanza dell’amore nell’influenza la scelta del compagno viene negato qualsiasi riconoscimento giuridico”. Il suggerimento è che siccome aumenta la promiscuità di uomini e donne in scuole e luoghi di lavoro, con ciò portando ad un aumento di episodi di “amore romantico”, la legge vada cambiata per accomodare le nuove realtà. Interessante. E tu che pensavi che avesse capito che l’intera dottrina della Kafa’ah e dei diritti del wali era diretta ad assicurarsi che l’amore romantico non sia lasciato a briglia sciolta!

Anche la consigliera della Banca Mondiale, Lama Abu-Odeh, enfatizza il bisogno di tale genere di aggiustamenti. Ella chiede la fine dei delitti d’onore per la loro ovvia crudeltà. Se una donna commette fornicazione o adulterio ed il padre, il fratello od il marito lo scoprono e la uccidono in un accesso d’ira, le leggi in molti paesi Musulmani la considerano una situazione speciale, riducendo così la pena per omicidio. Questo è un crimine d’onore. Lo sviluppo di queste leggi, molte delle quali provenienti da fonti europee, è un risultato di tre fattori: 1) l’abrogazione delle leggi islamiche degli hudud; 2) lo sviluppo di pressioni che portano ad atti illeciti; 3) il desiderio di mantenere sotto controllo il disordine che ne risulta. L’articolo nota correttamente che “[le nuove pratiche sessuali] sono l’incubo del nazionalismo: esso sono il prodotto delle stesse politiche dei nazionalisti, eppure consapevolmente rifiutate dall’ideologia nazionalista”. La soluzione più sensata sarebbe di risolvere il problema alla radice eliminando le pressioni (programmi, articoli e pubblicità che eccitano i sensi in televisioni, film, radio, riviste e quotidiani) e rimuovendo le opportunità (promiscuità nelle scuole e sul lavoro, facile disponibilità di contraccettivi) a/di atti indecenti che in seguito portano ai delitti d’onore. Ciò includerebbe anche l’introduzione delle leggi degli hudud in base alla Shari`ah, che agiscono da deterrente. Ciò che invece l’autrice suggerisce è semplicemente di abrogare le clausole relative ai delitti d’onore e lasciare accadere ogni cosa. L’autrice è abbastanza intelligente da riconoscere che tale consiglio unilaterale incontrerebbe opposizione sulla base del fatto che promuoverebbe la promiscuità; per questo, suggerisce diverse risposte retoriche, in tal modo dandoci un assaggio della sessione strategica interna delle femministe: 1) Solo le donne povere sono vittime dei delitti d’onore. 2) Le donne arabe non diventeranno mai come le donne occidentali. 3) Non fa una bella impressione all’estero. 4) Un comportamento sessuale appropriato andrebbe promosso per mezzo di insegnamenti etici piuttosto che con la violenza. 5) Non vi è nulla di sbagliato in una storia d’amore. Ingegnosi punti di propaganda!

Questo ci porta alla questione del reale programma che sta dietro a questo libro. Eccezion fatta per un articolo di Raga El-Nimr, che potrebbe essere stato incluso per mantenere una facciata di obiettività, i contenuti di questo libro contengono “gemme” come quelle riportate in precedenza. E’ ovvio che questo libro non ha nulla a che fare con i veri problemi affrontati dalle donne Musulmane: non è curioso che parli delle discriminazioni contro le donne il Libano, cui non è permesso intraprendere lavori in miniera e fonderia, nelle fabbriche di birra e nelle distillerie o guidare mezzi pesanti [p. 328], ma non spenda una parola sul fardello delle donne Musulmane in Bosnia, Kashmir o Palestina?

In realtà, così come in tutte le opere delle femministe, i veri problemi delle donne Musulmane non sono affatto affrontati. Il problema primario delle donne Musulmano è la protezione della loro dignità e la prevenzione dell’immagine degradante ed umiliante veicolata dai media, che a sua volta porta ad ogni sorta di abusi. C’è bisogno di un’interdizione totale all’esposizione di immagini dei loro corpi a fini di profitto commercialo. Esse hanno bisogno anche di protezione da pratiche anti-Islamiche a cui le costringono i mariti: ci sono mariti che costringono le loro mogli a svelarsi in pubblico o frequentare i loro amici o addirittura le scoraggiano dalla preghiera; le donne Musulmane devono avere diritto di fare ricorso legale contro tali costrizioni. Similmente, vi sono regimi di paesi cosiddetti Musulmani che obbligano le donne a svelarsi in pubblico: questa è persecuzione religiosa sponsorizzata dallo Stato e le donne Musulmane devono vedersi restituiti i loro diritti per mezzo di uno stop totale a tali politiche. Una donna Musulmana ha bisogno anche di un sistema educativo che provvede ai suoi bisogni, invece di costringerla a diventare un uomo in una cieca corsa all’eguaglianza. Ha bisogno di strutture sanitarie che rispettano la sua dignità ed il suo bisogno di privacy; oggi, in molti paesi Musulmani una donna è totalmente impotente e vittima potenziale di ogni genere di abusi appena entra in un ospedale. Una donna Musulmana ha bisogno pure di un sistema legale e giudiziario che le assicura di poter ottenere i suoi diritti in base alla Shari’ah in caso di controversie. Ha bisogno di un sistema economico in cui non sia costretta a lasciare la casa per dover dividere il peso di guadagnare uno stipendio. Ha bisogno di un ambiente in cui i suoi istinti naturali alla maternità ed alla cura domestica siano rispettati, non schiacciati. Eppure, dai settori femministi c’è un silenzio assordante su tutte queste problematiche.

Ovviamente non ci si deve aspettare nulla di ciò da un libro che menziona con rispetto la nota Conferenza del Cairo e cita “autorità” come Benazir Bhutto sul bisogno di seguire “la forma corretta di Islam” o Suzanne Mubarak sull'”importanza della democrazia”. Qui c’è un altro problema, perché gli indizi che questo libro possa essere in realtà un’operazione segreta dell’ONU sono sparsi per tutti il libro. Qualunque dubbio a questo riguardo dovrebbe volatilizzarsi leggendo il capitolo 16, scritto da Jane Connor, sulla “Convenzione delle Donna sull’Eliminazione di Ogni Forma di Discriminazione Contro le Donne”. Ciò che si nasconde dietro queste parole impacciate ma dall’apparenza innocente, è una completa “shari`ah” delle Nazioni Unite indirizzata ad annullare la Shari`ah islamica. Promuove la fine della segregazione nei posti di lavoro e l’abbandono delle leggi islamiche di testimonianza, matrimonio, divorzio, custodia dei figli, paternità e pagamento degli alimenti. Inoltre, in caso di qualsiasi disputa, conferisce giurisdizione alla Corte Internazionale. Tale Convenzione è entrata in vigore nel 1981, mentre una Dichiarazione non vincolante era stata adottata nel 1963: tale processo è andata avanti silenziosamente, senza alcun dibattito o consapevolezza nei paesi Musulmani. Ciò che i paesi Musulmani hanno fatto, lavorando individualmente invece che facendo blocco comune, è stato esprimere riserve contro alcune delle clausole disapprovate; le Nazioni Unite, per forzare la loro opinione hanno ignorato tali riserve, un diritto dei membri sovrani dell’ONU. Ora, in questo mondo unipolare, l’ONU sta lavorando per far terminare tali riserve. L’articolo di Jane Connors, l'”esperta sull’Islam”, ci assicurerebbe che la maggior parte delle riserve non erano basate sulla Shari`ah islamica, che non avrebbe nulla a che fare con tali questioni mondane. Certo…

La sua relazione dovrebbe aprire gli occhi ai leader Musulmani che avevano brevemente diretto la loro attenzione a queste questioni durante la Conferenza del Cairo, ma che da quel momento sembrano essere tornati a dormire. L’ONU ha continuato a lavorare su queste cose ormai da diversi decenni e non vi è alcuna pausa nei suoi sforzi. In un’occasione la Convenzione ha chiesto all’ONU “di promuovere od intraprendere degli studi sulla condizione delle donne nelle leggi ed i costumi Islamici, ed in particolare sulla condizione e l’eguaglianza delle donne nella famiglia… prendendo in considerazione il principio di El Ijtihad nell’Islam”. Secondo Connors tale progetto fu accantonato per le proteste di alcuni paesi Musulmani tra cui Bangladesh ed Egitto.
Ma “Femminismo ed Islam” va’ in quel senso. Il suo essere pubblicato dall’Università di Londra, invece che dalla stampa dell’ONU, è teso a dargli un’ulteriore idea di obiettività e rispettabilità. Se solo potesse agire da sveglia per i leader Musulmani…

  1. Sabrina حفصة
    7 agosto 2020 alle 20:43

    السلام عليكم و رحمة الله تعالى وبركاته
    ما شاء الله, che Allah ﷻ ti ricompensi per aver pubblicato questo articolo fratello ’Umar.
    Che Allah ﷻ ci preservi tutti quanti dal cadere nel femminismo o in qualsiasi altra ideologia estranea al nostro meraviglioso Din. آمين
    Allah ﷻ ci ha dato questo Din perfetto e completo e non abbiamo bisogno di altro, AlHamdulillah.
    Le femministe blaterano tanto sull’uguaglianza e poi sono proprio loro -con la loro misandria- le prime a discriminare e a promuovere odio, accollando agli uomini ogni genere di colpa e facendoli passare come oppressori e violenti, e le donne come povere vittime indifese senza colpa alcuna…ormai sembra che essere uomini sia diventato un crimine…la hawla wa la quwwata illa billah

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